Ragazzo coraggioso – William Saroyan

Bellissima raccolta di racconti di William Saroyan, “Ragazzo coraggioso” mostra tutto il genio, l’energia e l’impeto di questo grande scrittore. Edito da “Marcos y Marcos” con la traduzione di Claudia Tarolo e Marco Zapparoli.

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SETTANTAMILA ASSIRI

Non credo nelle razze. Non credo nei governi. Abbraccio con un solo sguardo tutta la vita, milioni di esseri nello stesso tempo, sulla terra intera. I bambini che non hanno ancora imparato a parlare sono l’unica razza del mondo, la razza umana: tutto il resto è illusorio, la cosiddetta civiltà, l’odio, la paura, il desiderio di potenza… Ma i bambini sono bambini. E quel modo che hanno di piangere, ecco la fratellanza tra gli uomini, il pianto di un bambino. Crescendo apprendiamo un linguaggio, e vediamo che il mondo attraverso il linguaggio che abbiamo imparato. Non lo percepiamo attraverso tutti linguaggi, o attraverso l’assenza di linguaggio, attraverso il silenzio; ci isoliamo nel linguaggio che conosciamo. Da queste parti ci isoliamo nell’inglese, o nell’americano, come preferisce chiamarlo Mencken. L’eternità stessa, con parole nostre. Se c’è qualcosa che vorrei, è parlare un linguaggio più universale. Il cuore dell’uomo, la sua essenza non scritta, eterna e comune a tutte le razze.

 

TRA I PERDUTI

Il destino delle nazioni non mi interessa, la storia mi annoia. Cosa intendono poi per storia, quelli che la scrivono, e ci credono? Com’è potuto accadere che l’uomo, creatura semplice e amabile, sia stato sfruttato per compilare documenti mostruosi? Com’è potuto accadere che la sua solitudine sia stata violata, la sua devozione degenerata in furia spaventosa di morte e distruzione? Non credo nel commercio. Macchinari, calcolatori, automobili, locomotive, aeroplani, eh sì, anche la bicicletta – tutte assurdità. Trasporti, spostamenti; ma dove vanno davvero, le persone? Usciamo mai da noi stessi? Spaziare con la mente per tutta la vita, non esiste viaggio più stimolante. E finisce solo con la morte.

Soltanto l’uomo mi interessa. Amo la vita, e mi inchino davanti alla morte. Non la temo, perché è puramente fisica…

Piuttosto, detesto la violenza e odio profondamente chi la pratica e la diffonde. L’offesa al dito mignolo di un essere umano è di gran lunga più devastante e orribile della sua morte naturale. E quando centinaia di uomini sono feriti a morte in guerra sono travolto da un dolore che sconfina nella follia. Mi sento rabbioso e impotente. Le mie uniche armi sono le parole. Sono più potenti delle macchine da guerra, ma mi dispero perché le mie forze non bastano a neutralizzare l’impulso distruttivo che i propagandisti inducono negli uomini. Farò propaganda anch’io: in questo racconto voglio restituire all’uomo dolcezza e dignità. Restituire l’uomo a se stesso. Ricondurlo dalla massa indistinta al proprio corpo, alla propria mente individuale. Risollevarlo dall’incubo della storia al quieto sogno della propria anima, unica cronaca possibile. Se stesso, deve essere. Solo le bestie vanno in branco. Quando l’individuo si perde, per aggregarsi alla massa, Dio soffre fisicamente.

Alla mediocrità mi oppongo. Amo un onesto idiota, non posso amare un genio disonesto. Per tutta la vita ho riso di regole, tradizioni. L’uomo è una creazione troppo bella, le regole non fanno per lui. Ogni vita è contraddizione, verità, miracolo; persino la truffa è interessante. Non sono un filosofo e non credo nella filosofia; la stessa parola è sospetta. Difendo il diritto alla contraddizione. Ho appena detto che disprezzo tutte le macchine, invece adoro la macchina per scrivere.

 

QUELLA VIGNA NELLA MIA VALLATA

Che malefica sequenza, prima un uomo, poi un altro, prima un pensiero di morte, poi un altro; il tempo che scorre, e il Pacifico che annega le ore. Giorni trascorsi con un essere vivente, di sesso femminile, nel sole, al mare, sotto gli alberi, e tante tante parole.

La marea del paradiso, semmai ce ne occupassimo, batte ogni giorno alla porta della nostra vita, e noi lì a passeggiare verso la costa, aggrappati al nostro monotono sospiro; le nostre amate onde portano il fluido del silenzio, e noi lì ad ascoltare.

Nel 1918 arrivò il jazz. Era sempre esistito, ma nel 1918 esplose. Sarebbe sbagliato biasimare la guerra per questo. Un drappello di pesciolini che guizzano in un ruscello in secca è jazz. Un gruppo di giovani impiegate stanche che guizzano nella melma di una pozzanghera a New York è pure jazz. Non è il caso di soffermarsi sulla differenza, minima: i pesciolini vivono nell’acqua per natura, mentre le ragazze vi annegano per natura, e comunque accade quel che deve accadere. La prosperità, la prosperità prima di tutto.

L’evento più significativo della storia, se uno ci fa caso, non è la crocifissione di Gesù Cristo, ma la scoperta dell’America. La crocifissione ha portato al cristianesimo, che nella migliore delle ipotesi è stato di una qualche utilità, nella peggiore una forma di romanticismo per chi non è scrittore. La scoperta dell’America (il continente, dico), viceversa ha portato quel che ben sappiamo, Lincoln, Tom Sawyer, Hollywood, Hearst, la previdenza sociale. Innumerevoli sono le altre conseguenze, e se si deve scegliere fra un uomo e un continente, bisogna essere dei materialisti per non scegliere l’uomo; quanto è difficile essere cristiano pensando a quel che il cristianesimo si è trascinato dietro, quando la grande Chiesa cristiana è così riccha e grassa e ornamentale, con quel suo concetto ragionieristico di anima.

 

ASPIRINA

La morte fa parte dell’uomo, ma a volte la vita è così dura che ne evoca orribili ricordi, così, ecco i lamenti della notte.

L’angoscia. Tutti stanno male. Osservo la gente in metropolitana, vedo la malattia dovunque. Cerco un volto che non ne mostri tracce, lo cerco dappertutto, e non c’è. Questa ricerca rende il mio lavoro così affascinante. Dopo mesi di studio giungo a una conclusione su tutti noi, qui a Manhattan. La metropolitana è morte, tutti noi viaggiamo verso la morte. Niente catastrofi, niente terribili incidenti: la morte è lenta, e viene dalla vita. E’ di un fatto così notevole, che rido.

Ho vissuto in molte stanze, in molti quartieri della città, East Side, West Side, downtown, uptown, Harlem, il Bronx, Brooklyn, dappertutto. Ed è uguale dappertutto, la notte con i capelli gelati, fra pareti estranee, il sorriso della morte negli occhi.

Proprio non intendo tagliar fuori da questo mio scritto l’aspirina. Troppo importante, per tacerne. E’ il vero eroe di questa storia, in sei milioni, qui a New York, ce la prendiamo un giorno dopo l’altro. Tutti così malmessi, ne abbiamo bisogno. È un’evasione, questa aspirina. Così è la vita, così viviamo. Si prende l’aspirina e si tira avanti. Ammazza i malanni. Ti aiuta a dormire. Ti accompagna in metropolitana. È un sostituto del sole, fa buon sangue. Tiene lontani i ricordi, smorza i sospiri.

E non fa male al cuore. Così sostiene chi la produce. Assolutamente innocua, dicono. Magari è vero. Neanche la morte fa male al cuore. La morte è innocua quanto l’aspirina. Presto i becchini proporranno una pubblicità. Presto ci saranno annunci, sul “Saturday Evening Post”, pubblicità della morte. Tranquilli… morirete e i vostri sogni si avvereranno… del tutto innocua… raccomandata dai medici di tutto il mondo… e altri annunci del genere.

 

NELLA PACE TERRENA

Nebbia su San Francisco, cielo tormentato da foschia, sprazzi di luce abbagliante: sentirsi fuori dal tempo, sentirsi ridicoli e sgomenti; marciapiedi bagnati, la solita gente che cammina. In serate così, i traffici della notte fanno scintille; gli uomini hanno nel cuore un vago desiderio di morte, le puttane dispensano la morte necessaria per superare il cattivo tempo e restare in vita ancora un po’. Per andare a donne è il tempo ideale, gli alberghetti toccano con mano la prosperità. Da mezzanotte in poi è una danza, un rapido aprirsi e chiudersi di porte, corse su e giù per i corridoio, linguaggio osceno e meraviglioso legato all’atto più antico. Vecchi e ragazzi, affari a gonfie vele, le ragazze ci sono, eccome, passano da un servizio all’altro come un sacerdote amministra i sacramenti.

[…]Solo le puttane ne parlano con intelligenza. Capiscono come funziona, alle due del mattino sembrano le uniche persone a posto sulla terra. La precisione del loro linguaggio scabroso diventa nobile ed eloquente. La loro bellezza è universale. Vecchi e giovani salgono le scale degli alberghi più infimi. C’è di mezzo il denaro, ma soltanto perché siamo in una società capitalista, e lo scambio, anche in amore, si materializza così. Non si comprende il totale fallimento del capitalismo se non si osserva come le ragazze portano amore e morte a impiegati e contabili.

[…]Non sono volgari quelle puttane, va riconosciuto. Impossibile essere volgare, stando così vicina al segreto dell’uomo. Le ragazze finiscono di lavorare alle tre, senza regolamenti o sindacati. Dopo le tre vanno a letto. Questa volta per dormire. Dormono profondamente, riposano in pace nel tempo dell’uomo.

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