Annie Proulx – Distanza ravvicinata. Storie del Wyoming/1.

Prima raccolta di racconti delle “Storie del Wyoming” di Annie Proulx. Edita da Minimum fax con la traduzione di Alessandra Sarchi. Una narrativa incredibilmente ricca, tra realismo e punte di poesia, in paesaggi enormi e feroci.

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Il confine erboso del mondo.

La regione appariva come uno spazio deserto, grandi piante di artemisia, erba da conigli, cielo scompigliato, stormi di uccellini come mazzi di carte lanciati in aria, e una pista appena visibile che andava verso il muro rosso dell’orizzonte. Tombe senza nome, legname di case crollate e di recinti bruciati in vecchi falò. Non molto altro a parte le condizioni atmosferiche e la distanza, la distanza punteggiata di tanto in tanto da radi cancelli di ranch e, a nord, l’incessante borbottio e dal sole riflesso dei semiarticolati in corsa lungo l’interstatale.

 

Una costa solitaria.

Hai mai visto una casa a bruciare nel cuore della notte, in un posto lontano da tutto in mezzo alle pianure? Null’altro che buio totale e i tuoi fari che ritagliano un piccolo cuneo di luce, per quel che vedi potrebbe essere in mezzo all’oceano. E in quella spessa oscurità trema una corona di fiamme grande come il tuo pollice. Puoi guidare per un’ora tenendola in vista fino a che non si consuma  o ti consumi tu, fino a che non abbandoni la strada per chiudere gli occhi o guardare in alto il cielo bucherellato da fori di pallottole. E magari pensi alla gente nella casa che brucia, li immagini mentre cercano di arrivare alle scale, ma perlopiù te ne freghi. Sono troppo lontani, come tutto, del resto.

 

Brokeback Mountain.

Ennis del Mar si sveglia prima delle cinque, col vento che scuote il caravan, sibilando attraverso la porta di alluminio e gli infissi dei finestrini. Le camice appese a un chiodo sono leggermente smosse dallo spiffero d’aria. Si alza, grattandosi la grigia risalita di pelo pubblico intorno all’ombelico, si trascina al fornello del gas, versa del caffè avanzato in un pentolino di ceramica sbreccata; la fiamma lo  avvolge di blu. Apre il rubinetto e piscia dentro il lavandino, s’infila camicia e jeans, gli stivali consumati, di cui preme i tacchi contro il pavimento per calzarli meglio. Il vento picchia su tutta la lunghezza curva del caravan, e sotto il suo rombo cupo avverte lo sfregare di sassolini e sabbia. Sull’autostrada potrebbe mettersi male con il bilico per il trasporto dei cavalli. Deve preparare tutto e filarsela della fattoria quel mattino stesso. Il ranch è di nuovo in vendita e si sono liberati anche dell’ultimo dei cavalli, hanno saldato tutti i conti del giorno prima, col padrone che diceva: “Datele a quegli squali dell’agenzia immobiliare, io non ne voglio più sapere”,  e consegnava a Ennis le chiavi. Può darsi che debba restare con la figlia sposata fino a che non troverà un altro lavoro, eppure è pervaso da un senso di piacere perché ha sognato Jack Twist. Il caffè riscaldato sta bollendo ma riesce a spegnerlo prima che coli fuori, lo versa in una tazza macchiata e soffia sul liquido nero, lasciando che una scena del suo sogno gli scorra davanti agli occhi. Se non ci pensa troppo sopra potrebbe nutrirgli la giornata, riportandolo ai vecchi tempi, a quei tempi di gelo sulla montagna, quando erano padroni del mondo e niente sembrava sbagliato.  Il vento si abbatte sul caravan come fosse un carico di spazzatura che straborda da un camioncino, poi si acquieta, cessa, lascia che per un po’ ci sia silenzio.

[…]Quello che Jack ricordava e rimpiangeva con un’intensità che non poteva contenere né capire era il momento in cui, in quella lontana estate a Brokeback Mountain, Ennis gli era arrivato da dietro e lo aveva attirato a sé, quell’abbraccio silenzioso che aveva riempito una fame condivisa e asessuata. Erano rimasti in quella posizione per un lungo momento, davanti al fuoco, con le fiamme che lanciavano scintille ardenti, l’ombra dei loro corpi che formava contro la parete di roccia un’unica colonna. I minuti erano scanditi dal cipollone nella tasca di Ennis, e dal crepitio dei rametti di legno che diventavano carbone. Le stelle pulsavano attraverso gli strati ondeggianti di calore sopra il fuoco. Il respiro di Ennis era lento e tranquillo, canticchiava a bocca chiusa, dondolava un poco nella luce del falò e Jack si addossò a quel battito regolare del cuore, a quelle vibrazioni sonore simili a una corrente elettrica,  e in piedi fu preso da un sonno che non era sonno, ma qualcos’altro, una specie di trance soporifera, fino a quando Ennis, ripescando dall’infanzia, dei giorni prima che sua madre morisse, un ritornello arrugginito ma che poteva funzionare, disse: “Ora di andare a letto, cowboy. Devo partire. Coraggio, stai dormendo in piedi come un cavallo”. E diede a Jack una scrollatina, una spinta e se ne andò nell’ oscurità. Jack sentì il tintinnio degli speroni mentre saliva a cavallo e le parole “ci vediamo domani”, lo sbuffo fremente del cavallo, un rumore di zoccoli sui ciottoli. In seguito, quell’abbraccio assonnato si era solidificato nella sua memoria come l’unico momento di autentica, incantata felicità nelle loro esistenze separate e difficili. Nulla lo offuscò, nemmeno la consapevolezza che allora Ennis non l’aveva abbracciato guardandolo in faccia perché non voleva vedere e sentire che si trattava di Jack. E forse, pensò, non erano mai andati oltre quello. Pazienza, pazienza.

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